10-29 giugno 2017 sull’Ortigara, la battaglia più ad alta quota della grande guerra

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Ortigara – cento anni fa la guerra si manifestò per quello che era, una carneficina insensata e disumana.
Una vecchia canzone degli alpini recita:
O vecchio alpin.
Vecchio alpin dell’Ortigara
ti ricordi queste rocce,
questi sassi, queste fosse,
questa valle senza fior.

In questi giorni si contano i cento anni da questa battaglia.
Fu una disfatta italiana e forse per questo nessuno ne parla. Nonostante ciò il grandissimo sacrificio umano ha portato nel 1921 al primo raduno degli alpini.
Senza retorica, senza orgoglio. L’Ortigara è un monumento contro la guerra. Una guerra che fu cieca e spietata.

 La grande battaglia dell’Ortigara, la battaglia più ad alta quota della grande guerra, fu combattuta tra il 10 ed il 29 giugno 1917 tra l’esercito italiano e quello austro-ungarico.

 Oggi la battaglia è ricordata per l’enorme numero di morti, per la carneficina continua, per la mattanza disumana e ripugnante. L’obiettivo italiano era riconquistare il territorio di cui si erano appropriati gli austro-ungarici durante l’offensiva di primavera del 1916.

Era ormai chiaro il piano austriaco di sfondare gli altipiani del vicentino per riversarsi sulla pianura padana e prendere alle spalle l’intero esercito italiano.

 Quella dell’Ortigara fu pertanto una battaglia cruentissima, combattuta su un terreno accidentato e privo di risorse.

Un terreno su cui portare a spalla o sui muli o sugli asini l’artiglieria: cannoni, mitragliatrici, fucili, temendo sempre l’artiglieria nemica dotata di armi devastanti come gli Shrapnel.

 Gli Shrapnel erano proiettili cavi riempiti di sfere di piombo o di acciaio e muniti di una carica a scoppio collegata ad un timer in modo da esplodere prima che il proiettile impattasse sul terreno, massimizzando così la probabilità di uccidere soldati nemici.

 Tra morti e feriti l’esercito italiano perse 28000 fanti. Quasi 9000 sul fronte avversario.

 Il canto alpino recita:
Ventimila siamo stati
ventimila siamo morti

Non ho mai incontrato mio bisnonno che combattè sull’Ortigara come bersagliere mitragliere. Pochi e scarni i racconti tramandati sull’argomento. Troppo doloroso il pensiero di rievocare quei giorni.

Nel mio racconto “nelle trincee del mare” ho provato a immaginare quei giorni sull’Ortigara.

 “Gli apparve chiara la trincea sull’Ortigara, un monte ferito dall’accanimento degli uomini, la cui cima era stata mutilata dai bombardamenti in quel giugno che rendeva più sopportabile l’altitudine, magra consolazione per chi vive in trincea e vede ogni giorno morire un commilitone, lì tra le mitragliatrici instancabili nel mietere vite, trattenute solo dalla scarsità di munizioni.

Erano più i morti che i vivi a circondarlo e il suono martellante dell’artiglieria e dei cannoni si alternava ai sibili dei proiettili dei cecchini. Voleva tornare vivo ma non lo credeva possibile, ormai più che della morte aveva paura di morire in una lunga agonia. Strisciava a terra, sul fondo maleodorante della trincea, quando un dolore intensissimo lo colse ai piedi, alla coscia e alla mano.

 Stordito dal dolore e dalla paura avvicinò la mano al viso e vide il sangue arrossarla velocemente. Si raccomandò a Dio perché perdonasse i suoi peccati e consolasse la sua famiglia dunque attese di morire; lo presero in due e lo trascinarono via, di trincea in trincea. Quel 22 giugno 1917 doveva essere la data della sua morte e invece fu il giorno della sua salvezza, tre giorni dopo gli austriaci sterminarono i suoi commilitoni con i lanciafiamme.

 Il 3 luglio lo interrogarono. Molti si sparavano alle gambe per sfuggire al fronte ma quelle erano ferite da Shrapnel e bastò dir questo per chiudere il processo verbale.

«E’ fortunato ad essere vivo, lo sa?»
«Lo so signore»

«Lo Shrapnel è un proiettile di artiglieria pieno di pallini di piombo che all’impatto vengono scagliati in tutte le direzioni insieme alle schegge dell’involucro, non lascia scampo dove arriva».

Tornò a casa e mostrò una foto a suo padre e sua madre, era una foto di lui sorridente con altri soldati.

«Sono tutti morti… sono vivo solo io».”

 Come sopravvissuto alla battaglia dell’Ortigara mio bisnonno portò a casa il ricordo terrificante della guerra. Non si vantò mai di essere tornato vivo dalla guerra, né mai si sentì un eroe, né mai condivise le motivazioni di quella guerra. Si trovò lì a combattere e non si tirò indietro. Ma il suo silenzio testimoniò l’annientamento che la guerra provoca negli animi di chi assistette a quella grande follia.

 Non si dovrebbe tacere sull’Ortigara perché l’Italia non fu vittoriosa, bisogna invece parlarne per ricordarsi che nelle guerre non ci sono vincitori veri ma si è tutti vinti, sempre.

Alfredo Sorbello

 

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