Linea B di Peter Petra

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Linea B di Peter Petra

L’incontro e l’approccio con il romanzo Linea B, opera prima di Peter Pietra (Edizioni Akkuaria, pp. 114, € 12,00), trascina immediatamente il lettore dentro una spirale orfica. La scrittura non ha recinti e la lingua è spesso inafferrabile, seguita dalla “liquefazione” del pensiero che si ha di noi stessi. Sono sintomi di ciò la forma usata, la sintassi ed il lessico, propri di una letteratura chiaramente visionaria.

Il pensiero si mostra senza filtri, e le domande che spesso albergano in noi diventano affermazioni attraverso una scrittura estremamente creativa, che abbandona lo spazio ed il tempo per sentirsi libera. L’inquietudine e l’ansia sono presenti in ciascuna delle ventidue fermate della metropolitana romana, linea lungo cui si srotola il romanzo. Non sono entità astratte, ma passeggeri in carne ed ossa seduti uno di fronte all’altro nei vagoni rumorosi dell’underground romano, in cui si incontrano e scontrano migliaia di persone con vite differenti, ma che in fondo hanno spesso delle dinamiche comuni. Accanto al forte realismo ritroviamo una carica ironica e una comicità che riesce a smorzare e a facilitare la lettura.

Il viaggio virtuale inizia dalla stazione di Rebibbia, dove incontriamo “lui” che è costretto a vivere chiuso «in quella stanza e quella finestra immensa senza uscita era la condizione più crudele». «Guardavo fuori senza poter uscire. Per un periodo preferì non guardare. Poi di nuovo. Ripresi a osservare e a pensare. Pensare di cambiare. Guardavo giù. La gente si muoveva, piccola come formiche. Fissavo un punto senza realmente guardare. Era impossibile mettere a fuoco qualsiasi cosa. Ero tra tanti. Ma solo. Avevo bisogno di qualcosa di più. Qualcosa che mi desse l’opportunità di dare forma all’interiorità. Come un’emozione prolungata nel tempo. Il battito che cresce che rimbomba nelle orecchie e ti fa sentire vivo».

A Ponte Mammolo ci imbattiamo in una visione surreale. La storia di un uomo e una donna che di notte camminano lungo un antico canale di scolo. Lei, come invasata, ininterrottamente recita dei passi dell’Enrico VI e sembra non fermarsi più, e la voglia di lui di ucciderla cresce a dismisura. Inizia ad aprirsi un mondo surreale, il contadino che passando li saluta e pochi istanti dopo finisce per mangiarsi l’arto superiore e morire dissanguato. O la comparsa di un asino nero opaco che parla di un’applicazione che permette di inviare messaggi gratis. O ancora la pantegana che fuoriesce dal fiume ubriaca fradicia.

Le successive stazioni in cui ci imbattiamo percorrendo la linea B è Santa Maria del Soccorso (siamo all’interno dell’ospedale) e subito dopo Pietralata, dove assistiamo alla dissacrazione della coppia.

Il viaggio continua: Monti Tiburtini. Un padre, un marito e un nonno amorevole, facchino di professione, che decide di fermarsi nei pressi del parco, dove ama trascorrere le domeniche pomeriggio con la famiglia. Si avvia nella vegetazione, ripercorre con il pensiero la sua vita, la riflessione sul volo libero di una farfalla, poi l’incontro con un’anziana donna e all’improvviso la normalità viene stravolta. Iniziano a parlare, ma nel tentativo di sollevarla lei «abbassò il capo e prese a mordergli il polpaccio ancora in tensione per l’enorme sforzo. Era affamata inviperita e all’improvviso selvaggia». Lui riuscirà a divincolarsi sferrando un potente calcio. Ritornato al suo furgone ne apre la portiera: «Nonno perché non torniamo a casa? È un giorno intero che sono chiuso qui dentro!».

Quintiliani. «Una strada buia, lunga, dritta, a tratti quasi monotona nel paesaggio. Il rumore del veicolo sembrava riempire quell’atmosfera vuota di ogni altra percezione sonora e allo stesso tempo carica di tensione, di rabbia, di angoscia». Sullo sfondo un nonno e il nipote Pietro che viaggiano insieme nell’immaginazione di quest’ultimo. La paura, la violenza, la morte del nonno e un’ombra che si avvicina a lui accovacciato per terra, e che con calma gli dice: «Che fai dormi in giardino? Su andiamo a prendere le pillole da bravo, come tutti».

La stazione Tiburtina ci introduce Claudio, Pietro e Mario che insieme a Carla e Giulia sono i protagonisti della storia. «Tutti sapevano dove andare, a che ora, quale tragitto percorrere. Eppure non l’avresti mai detto che i movimenti sconnessi della gente avessero un fine nel tempo e nello spazio». Claudio lavorava in un enorme centro commerciale di quattro piani come addetto all’antitaccheggio e con lui lavorava Mario, gli unici che avevano superato il mese di prova. Mario era cresciuto nel difficile contesto della periferia di Roma, ed aveva dei piccoli precedenti per furto e spaccio, ma quel lavoro lo aveva riscattato dagli sbagli della vita precedente. Mentre per Claudio era solo un modo per far soldi. Un pomeriggio di ottobre salta la corrente all’interno del centro commerciale e il lavoro di Claudio e Mario si fa pesante. Ma Claudio, nel sotterraneo, andando a controllare il quadro elettrico saltato, si imbatte in una situazione che non si sarebbe mai aspettato.

Stazione Bologna. «Si diresse verso l’ingresso, calzò delle scarpe in pelle grigia, salutò ed uscì. Nessuno gli rispose. Era per strada, di mercoledì senza sapere dove andare, senza sapere che fare senza chiedersi il perché di tutto. Ormai ne era abituato. Questo lo ricordava sempre. Questo non lo dimenticava mai».

Stazione Policlinico. Incontriamo Mario e Carla, e il “viaggio” di Carla per trovare l’ufficio sette, camminando «accese una canzone con il pensiero e se la ascoltò mentre si dirigeva in quel luogo». Il gradino quarantaquattro era quello che l’avrebbe condotta all’appuntamento da Mario che «nel frattempo l’aveva aspettata, s’era preso un caffè, fumato venti sigarette di seguito, s’era incazzato e sposato con una tal Giulia di cui gli fregava il giusto e come un folle si aggirava per il centro città da circa una ventina di anni».

La stazione di Castro Pretorio ci presenta Claudio alla biblioteca nazionale mentre legge un opuscolo rosso intitolato Sulla profondità della superficie. «Esistono due tipologie di personalità cosiddette superficiali. Le persone che vivono del nulla e quelle che hanno toccato delle profondità mai viste, si sono immerse e sono risalite a fatica. Stare a galla pensando al fondale e farlo in mare aperto, in mezzo all’oceano o seduta in metro poco importa».

Termini. La paura di volare e la voglia di avere coraggio. «Temevo di tutto, scontri con rapaci più grandi e feroci, umiliazioni di rondini al primo battito di ali, colibrì insolenti capaci di virate incresciose. Volavo alto ma mai senza guardare giù».

Cavour e l’incontro con una biscia preistorica che divora Claudio. Ed ancora Colosseo e il sollievo di Mario per la morte di Claudio, unico testimone del furto nel centro commerciale, e l’incontro di Mario con Carla e Giulia, «sanguisuga maledetta».

Circo Massimo, dove avviene l’incontro-scontro tra Filippo e Pietro. Next stop: Piramide, Garbatella, dove ritroviamo Carla nervosa per il rapporto con Mario. Quindi San Paolo, Giulia che partecipa al «party più trendy dell’anno» ed un ascensore che diventa teatro di una realtà interna e scollegata.

Marconi. Giulia, Procolo e la morte del fratello Claudio, «un serpente volante e famelico si è introdotto in casa mentre cenavamo l’ha aggredito divorandolo nella mia camera da letto». «Tu mia Giulia hai qualche paranoia o fobia in particolare? Paura di volare». Magliana, e il rapporto carnale tra Claudius e Agrippina. Eur Palasport. “Claudio da infame e bastardo qual era gli aveva spifferato tutto”, e la vendetta fredda di Pietro.

Capolinea Laurentina, «caldo freddo caldo freddo. Caldo dappertutto poi freddo e ancora caldo caldo caldo freddo freddissimo. Sentire tutte le vene pulsare insieme come orchestra discordante, i pensieri che tribolano le azione rendendole univoche ma disossate. La fine degli stenti e finalmente la pace. Svenire di rabbia. Trascinarsi. Ogni passo è un aratro fermo in mezzo al campo. Che scava. Scava in profondità. Il dolore di ogni giorno. Il dolore dell’assurdo. Fa male». «Perdo i sensi perdo le forze, perdo me stesso. Mi perdo nella mia perdita».

Si esce e il viaggio ricomincia.

Elisa Faranda

(www.editoriasiciliana.it, Recensioni, 02 aprile 2013)

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