C’era una volta: il goldone

Posted by on Aug 30th, 2013 and filed under News, Recensioni. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. Both comments and pings are currently closed.

Avevo quindici anni quando sentii per la prima volta la parola da un ragazzotto poco più grande di me. Capivo l’afferenza sessuale perché di questo il ragazzotto parlava, ma non cosa fosse, e quando me lo spiegò canzonandomi, la trovai una parola volgare, ma talmente volgare da farmi un punto d’orgoglio di non usarla mai.

Come sempre accade, le parole o i pensieri che uno vuole tenere lontani, restano invece dentro e lavorano per parecchio tempo. Non serve sforzarsi di non pensarci: sono un tarlo inarrestabile. Ricordate il racconto di Mark Twain sulla filastrocca del biglietto (deh punzona o controllor, il biglietto al viaggiator…)?

Nella fattispecie provai a immaginarmi la sua funzione, ma era proprio volgare e soprattutto imbarazzante. Come fai? Togli le mani dalla marmellata e ti metti a lacerare un involucro? E come lo laceri? Con i denti? Il tutto sotto lo sguardo impietoso della controparte? E nel frattempo cosa dici?

Andiamo… A quindici anni era un pensiero da brivido.

La vera curiosità era però per il passaggio dal nome “profilattico” a quello più popolare di “goldone”. Provai a raffigurarmi delle origini teatrali veneziane, ma non riuscivo a immaginare quattro rusteghi al cospetto di Mirandolina e alle prese con un affare di lattice che a quel tempo nessuno aveva ancora scoperto.

Del sesso – che al tempo era un tabù – non sapevo molto, e per altro tempo ancora dopo non ho saputo molto. Diversamente dalla generazione precedente, che a diciott’anni acquisiva il diritto di andare al casino, noi non potevamo, e la curiosità sull’argomento ci affliggeva.

Da allora è passato tanto tempo. Vivendo ho potuto comprendere qualcosa del sesso e di tutto il contorno; sono riuscito a modificare la curiosità giovanile. Oggi tutto è più facile: internet risolve molti problemi spiccioli legati alla sessualità. Se si fruga nelle riviste di sessuologia “on line”, si scopre che sempre meno uomini “scopano” e fanno invece l’amore. Non è una conquista da poco, anche se è costata un bagno di sangue.

Oddio! prima si sapeva meno di problemi di impotenza, frigidità, qualità della prestazione e quant’altro. Forse c’erano e chi li aveva non li dichiarava; comunque la mettiamo parevano meno e per quel che ricordo non c’era l’attenzione morbosa che mi sembra ci sia oggi.

Ricordo scrittori che meno pudichi di altri parlavano di sesso, e trattavano l’argomento come si affrontava allora, un peccato inevitabile, una trasgressione, mai una gioia. Sartre le faceva camminare nude su scarpe con i tacchi a spillo, Miller le prendeva in metropolitana approfittando della ressa, Hemingway raccontava delle prostitute parigine malate di tbc, convinte che lo sperma maschile le curasse. Ma Hemingway fu l’unico che fece anche una considerazione sulla sifilide (la chiamava così e non col temine medico): “è la malattia di tutti coloro che conducono una vita dominata dal disprezzo delle conseguenze”.

Col tempo ho letto che molti uomini, considerati e stimati a vario titolo, l’avevano: Casanova, Carlo VIII di Francia e famosi soldati di ventura, tanto da far definire la malattia come “mal franzoso”, da temere come una piaga sociale perché si diffondeva al seguito delle armate che di volta in volta calavano in Italia. Era il flagello dell’epoca, e tale è stato fino all’arrivo del più terribile aids.

Rapporti contro natura in entrambi i casi: il primo fu importato dagli spagnoli che violentavano le indios che avevano (pare) frequentazioni sessuali con i lama; il secondo dalle scimmie (pare). Insomma i disordini sessuali paiono contravvenire a una legge di natura, che vieta le confusioni fra le specie animali. Poiché però, a quello che so, soltanto la razza umana ha la psiche, soltanto a noi è riservato il caos mortale che comportano queste malattie; gli altri animali ne sono esenti.

Per tornare alla nostra “parola”… qualche anno fa un amico si fece cogliere dallo stesso dubbio etimologico e conoscendo il mio interesse per le curiosità me ne fece partecipe; la parola ormai dimenticata tornò fuori dalla memoria, esattamente come mi è tornata fuori oggi, che so le sue origini.

Anni fa gli Americani sbarcarono in Sicilia e risalirono la penisola conquistandola. La tappa più significativa del 1943 fu Napoli, perché prima di liberare Roma nel giugno del ’44 dovettero molto combattere in Ciociaria. A Napoli sbarcarono ogni genere di ricchezza, e il popolo afflitto da fame atavica, conobbe cose mai viste prima.

È opinione diffusa che il contrabbando sia materia tipica napoletana; io credo che se gli Alleati fossero sbarcati altrove, mai avrebbero indotto in tentazione i Napoletani, e questo triste primato sarebbe di qualcun altro. Comunque sia, per ragioni storiche i Napoletani furono i primi a conoscere le abbondanti ricchezze americane, poiché gli Alleati si fermarono parecchio a Napoli. In altri paesi italiani dove furono soltanto di passaggio, la memoria delle loro salmerie c’è, ma non ha lasciato strascichi così stupefacenti poi messi anche in musica.

Tra le tante cose che sbarcavano nel porto c’erano le razioni K; chi non ne ha sentito parlare?

Ce n’erano per la colazione, il pranzo e la cena. Se si vuole fare un giro internet si può leggere il contenuto: gallette, scatolette di spam (che allora era carne in scatola e non posta elettronica), sigarette e fiammiferi, pasticche per bonificare l’acqua non potabile, chewing gum, cioccolata, caffè, carta igienica e un kit medico. Nel kit c’era anche una confezione dorata sigillata contenente un solo pezzo.

La scritta sulla confezione era – per l’appunto – Gold One.

Oggi li chiamano “condom” secondo la moda esterofila. Si possono trovare dappertutto, persino nei gabinetti delle stazioni di servizio in autostrada. Casomai un distratto fosse partito da Milano per andare a togliersi il prurito a Roma, ecco che può procedere tranquillo e non correre per arrivare alla farmacia prima che chiuda.

Ce ne sono di tutti i tipi, colorati, venati, sottili e via dicendo, in una varietà tale da togliere ogni poesia al momento del suo utilizzo, anche senza essere cattolici rigidamente osservanti; altrimenti se ne possono fare palloncini per la festa di compleanno dei marmocchi.

Per esempio: i fanti sbarcati a Omaha Beach li usavano per proteggere le canne dei fucili dagli spruzzi; alcune signore li riempiono di droga per passare la dogana.

In Africa è essenziale (CEI permettendo), ma anche nei paesi ricchi: per evitare di accrescere l’umanità con più “cape di ciuccio” del necessario.

È un attrezzo dai molteplici aspetti pratici, più versatile del cellulare di ultima generazione.

Chiamatelo come preferite, io non riuscirò mai a chiamarlo così, l’avversione verso quella parola rimane, anche ora che ha acquisito un valore storico e può stare in un museo.

Erberto Accinni

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