Arturo Brachetti

Posted by on Jul 31st, 2012 and filed under Recensioni. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. Both comments and pings are currently closed.

«Mi dai un attimo per cambiarmi
Travolti dalla ventata impetuosa della sua bravura
di Vera Ambra
 
Al Teatro Verga di Catania si era appena conclusa la brillante rappresentazione di “Brachetti in Technicolor 100 personaggi in 100 anni di cinema”. A fine spettacolo mi ritrovai alla fine di una lunga coda di gente che non aspettava altro di congratularsi con l’artista più bravo del mondo.
Svanita l’intensa nube degli ammiratori busso appena alla porta e col naso m’affaccio dentro. Eccolo. Coperto appena da un asciugamano legato alla vita evidenzio dal “vivo” il suo bel fisico bianco e asciutto.
Arturo Brachetti, dietro l’adorabile viso da ragazzino cresciuto troppo in fretta, è decisamente attraente. Con grazia si porta dietro i suoi trenta… e passa anni. È più alto di quanto non m’aspettassi: un metro e ottanta ben distribuito su circa sessanta chili ma ciò a cui è difficile resistere sono i suoi due occhi. Sono carboni accesi.
Arturo Brachetti non è un mimo, prestigiatore, trasformista, è semplicemente un genio. Un vulcano interattivo che s’agita per eruttare, senza pietà, quel magma creativo, che travolge.
Gli chiesi se potevo intervistarlo: «Mi dai un attimo per cambiarmi» dice. Un suo “attimo” è davvero un attimo. Non c’è neppure il tempo che la sua frase giunga all’orecchio: rieccolo in jeans e maglietta. «Ti va di fare due passi mentre parliamo» mi dice. Perché no? rispondo io. Abbandoniamo tutti e ci inoltriamo per Via Etnea, in quel momento immersa di magico silenzio (il che non succede mai, o non troppo spesso). Mi sorprende molto il fatto che Arturo abbia mollato tutto per “parlare” con me. Mi dissi che non era il caso di porsi tante domande.
Stavo passeggiando accanto ad un uomo unico al mondo.Non ebbi bisogno di fare la prima domanda che lui comincio a parlare da solo:
«Un prete salesiano m’insegnò i primi rudimenti di quella che sarebbe diventata la mia passione primaria. Facevo l’aiuto sacrestano. Quest’attività mi permetteva d’accedere in una stanza, sempre chiusa a chiave, dove erano conservato il materiale che serviva per allestire gli spettacoli che si organizzavano per divertire i ragazzi…».
Mentre lui parlava percepivo l’onda delle sue emozioni e mi chiedevo come abbia potuto sostenere 100 trasformazioni. Davanti agli occhi ti tutti mutava costume, truccatura, voce. Mi tornarono in mente non soli i particolari di una rappresentazione di altissimo livello ma la maniera prepotente con cui Brachetti affronta il trionfo della cibernetica. Non c’è da fantasticare troppo nella nuova civiltà di un intero universo immaginario che connota e schematizza la “fine della fantasia”. Un fantomatico Potere Dominante, in un ipotetico 2095, si impossessa della vera ricchezza del pianeta: la cultura. Cambiano i secoli ma il potere è sempre lo stesso. Da qui i personaggi di un immaginario Fronte della Rivoluzionario decidono di riscattare il cinema. Penetrano nei bunker per impossessarsi di tutte le informazioni criptate. Questi riescono a metter le mani su tutte le informazioni perdute. Per decodificarle – nel 2095 non esistono più le pellicole e i proiettori. Così gli apprendisti terroristi (Kevin Moore, Crescenza Guarnieri e Massimo Sarzi Amadé) tentano di montare un robot replicante per vedere i film in realtà virtuale e per decodificare i vari files segretissimi – e per farlo bisogna installare su un robot la testa del famoso esperto di cinema Arthur Brankestein. Ma per errore i rivoluzionari prendono la testa di Arturo Brachetti, attore di musicai e varietà vissuto nel XX secolo… e al replicante multiforme, famoso esperto di cinema e mass-media, svelano attraverso un percorso la parte nascosta di una prossima e non lontana realtà.
Ciò che balza immediatamente agli occhi, mettendo a confronto i dagherrotipi dell’epoca, una non troppo lontana realtà virtuale. Anche la nuova “virtualità” ha i suoi difetti e Arthur il replicante, come nella dimensione del sogno dove lo spazio tempo non esiste. Arturo Brachetti, straordinario ed eclettico mimo-attore-trasformista, nell’ilare e tragico viaggio tra vetusti reperti archeologici del cinema, alterna via via i personaggi riesumati dai colossal. Un Nerone che incontra Cleopatra che conosce Rossella OHara e che bacia Ben Hur. Wanda Osiris che abbraccia Carmen Miranda. Esther Willlams che nuota mentre 007 sparisce in modo rocambolesco… Il nostro eroe non riesce più a lasciare la realtà virtuale ed è ormai a corto di batterie ma con un ultimo e disperato sforzo aprirà uno dei files più segreti, dove si trova il mondo di Fellini, la quintessenza della fantasia nel cinema.
– Che cosa ti ha spinto nell’universo immaginario.
Cerco di rendere esplicita e visibile la situazione allarmante: il progresso sta fossilizzando quella capacità in cui l’uomo da secoli ha impiegato una quantità enorme di energia cerebrale.
– Ritieni dunque che il mondo di Internet sia immerso in un’atmosfera dì clandestinità.
Il nuovo linguaggio attuale sembra inventato più per allontanarci dagli altri che per unirci. Puoi essere al contempo in più parti del mondo senza andare da nessuna parte.
– Perché narrarti attraverso i personaggi del cinema.
Di fronte ai ritmi rapidi della vita siamo continuamente denudati della nostra storia: peregrinare tra i film significa dare vita a qualcosa che fa parte di una immaginazione collettiva. Dare corpo ai “giganti disseminati in grande quantità nel mondo della celluloide vuoi dire per me esprimere un affascinante impasto di linguaggi.
– Dunque un revival.
Re-vival. Ri-ciclare. Ri-presentare No! Non cerco mai di riscoprire un momento del passato. La vita è uno scenario talmente triste che fa perfino ridere.
Travolti dalla ventata impetuosa della sua bravura, ad Arturo Brachetti bisogna dare un riconoscimento per la costanza con cui, nel fare arte, sa comunicare in maniera semplice la metafora in cui si muove quella stessa informazione che sta trasformando la nostra fantasia.

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