The Syrian Affair

Posted by on Sep 14th, 2013 and filed under News, Recensioni. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. Both comments and pings are currently closed.

Dalle operazioni militari alla risoluzione diplomatica, la storia (e il futuro) del mondo nelle mani di una nuova “grande alleanza”

 Oggi come anni addietro… Stati Uniti ai ferri corti con la Siria e con la famiglia Assad (come dimostra una vecchia cover del Time). “Posso dire di essermi inteso bene col maresciallo Stalin. È un uomo che unisce una determinazione impressionante e senza deviazioni a un gagliardo buon umore. Credo sia l’autentico rappresentante del cuore e dell’anima russa e che potremo andare molto d’accordo sia con lui sia con il popolo russo”. Queste le parole di Franklin Delano Roosevelt, riportate dal premio Nobel Henry Kissinger, con le quali il trentaduesimo presidente degli Stati Uniti descriveva il rapporto con il premier sovietico Josif Stalin. La Storia ha fatto il proprio corso e, a seguito di numerose vicende, i rapporti tra USA e Russia, può sembrare evidente, non sono più così idilliaci. Per non parlare che, a seguito del caso Snowden, Obama aveva anche cancellato la visita ufficiale al Cremlino. Ma procediamo per ordine…
Sono trascorsi oltre due anni e mezzo dai moti rivoluzionari che diedero il via alla “primavera araba”. Oggi, dopo aver assistito inermi alle guerre civili in Tunisia, Egitto e Libia, gli equilibri internazionali tornano a traballare, come non accadeva dai tempi della Guerra Fredda. I riflettori e gli occhi dei media sono, stavolta, puntati sulla Siria, paese a maggioranza sunnita. Seppur ufficialmente si tratti di una repubblica semipresidenziale, non sussiste, di fatto, in essa alcun principio democratico: la famiglia di Bashar al-Assad, attuale capo di stato ed esponente del partito Ba’th, è al potere da oltre quarant’anni. Insomma, un regime dittatoriale che, con efferata violenza e brutalità, reprime ogni insurrezione. In verità non si può parlare di democrazia ove è in vigore la legge marziale e il leader detiene potere militare, legislativo e, persino, “costituzionale” (casistica inaudita in qualsiasi democrazia europea). Non a caso, in tale scenario, a detta della comunità internazionale, il 21 agosto scorso il regime di Assad avrebbe ordito un attacco agli insorti facendo uso di armi chimiche al napalm, al fosforo e con agenti nervini (sarin). Sono stati giorni di panico quelli che hanno seguito la strage di oltre 1300 civili nella periferia di Damasco; situazione, però, sulla quale i media, e più specificatamente le televisioni, hanno pensato bene di non soffermarsi granché.

Come da copione, ormai ben collaudato, i primi a tuonare sono stati Barack Obama e François Hollande: impensabile, del resto, che gli States, accompagnati dall’union sacrée francese, non promettessero puntuali folgori e saette. “Il presidente Assad ha varcato la cosiddetta linea rossa” – afferma il segretario di stato americano John Kerry – “Il mondo non può rimanere silenzioso spettatore di un macello”. Ma sono realmente genuine le considerazioni “a stelle e strisce”? In merito si potrebbe disquisire a lungo… Subito la proposta di Obama: intervento militare limitato imperniato su attacchi aerei, atti al fine di scoraggiare le azioni del regime. Segue a ruota Hollande che, caricatosi il peso della nazione sulle spalle, è pronto a seguire l’omologo avventuriero americano. L’Eliseo è, infatti, sul punto di allearsi con paesi della lega araba, grazie ai quali sarebbe possibile finanziare i militanti tra le file dell’opposizione siriana. L’idea originaria era proprio quella di far ricadere su Assad la responsabilità, tutt’ora non ancora realmente verificata, della strage, per poi vederlo condannato dalla corte internazionale, e di lasciar, quindi, ai ribelli il ruolo di esecutori materiali nella sovversione del regime. Ingenti finanziamenti economici e di armi rientrerebbero sicuramente nelle corde degli sceicchi di paesi come Qatar e Arabia Saudita: gli stessi multimiliardari arabi che oggi hanno acquistato mezza Francia, dal Paris Saint-Germain in giù.

Insomma, scenario e strategia simili a quelli che in Libia hanno portato alla caduta del colonnello Muammar Gheddafi. L’ennesimo “casus belli” ideato ad hoc per giustificare un’escalation militare (come quella che nel ’64 portò in Vietnam n.d.r.). A un occhio attento non sfuggono, però, le palesi differenze con la Libia, dove il sistema tribale ha un’ossatura più organizzata e i differenti schieramenti controllano al meglio i rispettivi territori. In Siria, invece, il partito alawita Ba’th, al potere da oltre mezzo secolo, controlla le istituzioni e una società a maggioranza sunnita adottando una politica pseudo-socialista (ricordiamo che, prima di Bashar al-Asad, il padre Hafiz ha retto il paese dal ’73 n.d.r). Con l’avvento della primavera araba la stabilità è stata minata e la posizione di Assad inizia a traballare. Oggi o domani dovrà fare i conti con il prezzo da pagare. Fallimentare anche il tentativo di golpe della “Coalizione forze di opposizione e rivoluzione”, finanziata dal Qatar. In sede dell’ultimo G20, svoltosi a San Pietroburgo, la situazione siriana è stata attentamente soppesata: Obama ha chiesto appoggio e sostegno alla comunità internazionale. Non un appoggio pratico, in termini di vere e proprie alleanze, ma un semplice sostegno morale e di solidarietà all’opera che Washington, sgravandosi così da critiche postume, si propone di portare avanti al fine di condannare quello che resta, ad oggi, solo un “eventuale”, “ipotetico” e “non verificato” uso di armi chimiche e di distruzione di massa. In effetti, che senso avrebbe che Assad decida di usare armi chimiche simultaneamente all’arrivo di rappresentanti Onu? Sul filo di lana del G20 è stato, pertanto, siglato da undici paesi, tra cui l’Italia, un documento di pesante condanna a qualsiasi infrazione alla Convenzione sulle armi chimiche del ’93. A scanso di equivoci sulla veridicità dell’attacco chimico a Damasco attribuito ad Assad, il Palazzo di Vetro, nella figura del segretario generale Ban Ki-moon, ha provveduto a inviare degli ispettori sul sito per svolgere le dovute indagini e aprire un’inchiesta. Il presidente americano rimane, però, rigido nelle proprie convinzioni: urge una reazione forte che non dia fiato o spiragli per lo sviluppo dei programmi nucleari dei falchi di Teheran e della Corea del Nord di Kim Jong-un.

Ma i membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu non si dicono disposti a dare il via libera a Obama prima della lettura del dossier stilato dagli ispettori; consegna che non avverrà prima di lunedì. Ma i risultati dell’ispezione potrebbero non essere affidabili, giacché i funzionari dell’Onu sono arrivati sul luogo solo cinque giorni dopo il presunto attacco e sono anche stati ritardati da un agguato e ulteriori bombardamenti. Il premio Nobel per la pace Barack decide, quindi, di rivolgersi al Congresso degli Stati uniti per l’approvazione di una mozione sull’intervento militare. Ma nemmeno in questa sede il buon Obama ottiene successi in quanto né la Camera dei Rappresentati né il Senato appaiono particolarmente convinti. A scoraggiare l’ok dei parlamentari di Capitol Hill sono i fattori legati alla tempistica e agli effetti del blitz: Obama parla di un raid aereo limitato, senza impiego di truppe da terra e lungi da missioni decennali come Iraq o Afghanistan. “Si tratta di un avvertimento”, ma i parlamentari restano diffidenti. Persino la First Lady, Michelle, lo è. L’inazione, d’altro canto, richiamerebbe lo “spirito di Monaco ‘38” con il relativo appeasement anglo-francese verso la Germania nazista di Adolf Hitler. In tutto questo, si tirano indietro anche Regno Unito, dove sia la Camera dei Lord che quella dei Comuni ha bocciato l’eventualità di un’operazione militare, e la Germania, convinta nel volersi omologare alle linee guida degli altri membri europei. Nel teatrino internazionale non poteva mancare l’Iran che, sotto la guida del neoeletto Hassan Rouhani, minaccia ritorsioni verso Israele, alleato americano, nel caso di attacchi missilistici degli USA. La precaria situazione che si è andata a evidenziare non esclude possibili attacchi “di ritorno” all’interno della regione ai danni dei partner statunitensi. Si scatenerebbe, così, una guerra civile con risvolti ancora più gravi di quelli delle passate rivolte.

A completare il tabellone da Risiko giungono con tempismo Russia e Cina. Vladimir Putin ha dichiarato inaccettabile un intervento militare ai danni della Siria, mettendosi, di fatto, in mezzo tra Obama e Assad, rinnovando il sostegno a Damasco. Il veto russo impedisce così agli americani ogni mira di conquista. Ma quali equilibri geopolitici muovono il Presidente della Federazione Russa? La Siria contraeva un debito di circa tredici miliardi verso l’Unione Sovietica, poi saldato quasi interamente. Obama è con le spalle al muro e Putin si gioca una volta per tutte il sostegno delle nuove classi urbane e dell’opposizione. Dopo WikiLeaks e le sconfitte storiche contro gli USA, se Putin vincesse questa difficile partita a scacchi verrebbe consacrato a eroe pacifista e simbolo della mediazione, accentrando sempre di più la propria posizione e facendo a meno di una svolta asiatica o nazionalista per il proprio paese. Quattro unità navali cinesi hanno raggiunto il Mediterraneo dal Canale di Suez, senza opposizione da parte dell’Egitto, e altrettante misure di sicurezza sono state adottate in via preventiva dalla maggior parte delle potenze europee, e non. Ergo, se non si trovasse il compromesso e l’Italia decidesse di violare la Costituzione, noi, nel particolare della Sicilia, saremmo i primi a essere indirettamente bombardati visti i contingenti militari americani a Sigonella. Seguirebbero le centosette basi militari Usa nel nostro territorio. Per adesso è solo fanta-risiko ma… I profughi siriani intanto continuano a sbarcare da noi. Ma questo e molto altro non può certo essere svelato dai media… tantomeno in Italia dove si continua a chiacchierare amabilmente sulle avventure del Cavaliere o di Balotelli in Nazionale.

La svolta arriva con Sergej Lavrov, Ministro degli Esteri russo, che, a seguito di un’apertura da parte dell’omologo americano e di David Cameron, ha proposto al Palazzo di Vetro e alla Siria una risoluzione che prevede la messa in sicurezza dell’arsenale chimico. Senza mezzi termini la realtà è che sussiste una netta differenza tra la semplice tutela-messa in “sicurezza” e l’effettiva consegna e distruzione, scenario di gran lunga preferibile. Servono garanzie. Tra l’altro, a quanto dichiarano gli esperti, lo stoccaggio delle bombole di gas chimico può essere facilmente effettuato conservandole al riparo da fattori esterni, nonché di degrado e di usura. Non è altrettanto facile la distruzione, che prevede complessi procedimenti di trasformazione in liquido per condensazione e poi, fatta reagire con altre sostanze, la combustione della molecola. Intanto Bashar al-Assad e il ministro degli Esteri siriano Walid al-Mualem aprono alla proposta russa di Lavrov, confermando, per altro, ed è la prima volta dal 21 agosto, di possedere armi chimiche. Uno sviluppo “potenzialmente” positivo che farebbe contenti tutti: Obama evita la brutta figura in caso di voto al Congresso mentre Putin e Assad si risparmiano l’assaggio dei Tomahawk americani. Adesso si aspettano il rapporto Onu con le indicazioni sulla matrice dell’attacco e l’incontro diplomatico Kerry-Lavrov. Pochi gli inghippi che ostacolano le trattative: le modalità di disarmo di Assad e le condizioni da adottare nella risoluzione. Una prima bozza prevedeva la stipula delle condizioni alle quali Assad dovrebbe attenersi e degli obblighi assunti da questo, unitamente a severe sanzioni nel caso in cui violasse i patti (come previsto dal Chapter 7). Ma la risoluzione vincolante non fa impazzire la presuntuosa Russia che preferirebbe un accordo a base di tarallucci e vino. Per non parlare di quando Laurent Fabius, titolare del Quai d’Orsay per contro degli Esteri francesi, ha parlato di sanzione presso la corte internazionale nei riguardi dei responsabili dell’attacco nella regione del Ghouta. Tantomeno se questi coincidessero con la persona del protetto Assad, che accusa addirittura i ribelli. In materia di crimini di guerra esiste una corresponsabilità tra regime e insorti, parti, entrambe, che proseguono una sfida al diritto internazionale senza alcun timore di un organo giudicante.

Obama farà votare ugualmente al Campidoglio e, rivolgendosi alla nazione e ai suoi “fellows Americans” dalla East Room della White House, ha fatto notare come gli States non siano la “polizia internazionale” ma hanno l’obbligo morale di far valere la propria leadership e lanciare un segnale che serva ad Assad da deterrente e garantisca la sicurezza globale. Obama, che è anche comandante in capo delle forse armate statunitensi, non avrebbe nemmeno bisogno del parere del Congresso, al quale ha lasciato riserva di esprimersi all’insegna della più antica democrazia costituzionale del mondo. Allo stesso modo, la pazienza di Barack ha un termine che si esaurirà nel momento in cui le intenzioni di Assad verso la collaborazione smetteranno di sembrare genuine ma solo un palliativo, un diversivo, una tattica dilatoria per prendere tempo. Questo il dubbio principale di tutti coloro che non ripongono nella Siria grande stima e affidabilità. Ma Washington è con le spalle al muro e non può fare altro che accettare il negoziato con Mosca. Il G20 “sacrifica” Assad all’unanimità (?) o il buon Obama e i pochi che lo appoggiano dovranno rinunciare ai pozzi di petrolio siriani… François Hollande, nel mentre sparito dalle scene (il tutto alle spese di Fabius), spera ancora… Al Cremlino, dal canto loro, non temono l’Eccezionalismo Americano, “il Destino Manifesto”, e considerano controproducente una nuova aggressione mediorientale e nel nord Africa, tale da poter provocare un intervento del fondamentalismo che imperversa nelle zone. Quella che abbiamo conosciuto come primavera araba non è, infatti, più la stessa: oggi è vero e proprio jihadismo internazionale, dove gruppi radicali islamici vorrebbero espandere un nuovo califfato ma senza intenzioni laiche né democratiche. Un gruppo contro l’altro aumenterebbe l’instabilità. Un attacco americano violerebbe la normativa internazionale, secondo la quale l’attacco è lecito solo per autodifesa o su voto del Consiglio di sicurezza.

Questo, caro Vlad, non giustifica, però, i crimini contro l’umanità commessi in Siria e la violazione del Protocollo di Ginevra (1925) e della Convenzione sulle Armi Chimiche (1993). Con pochi fronzoli, concludiamo la presente analisi con una nota di riflessione della nostra coscienza realista sugli elementi fondanti di ogni intervento militare. Due i pilastri che determinano l’indice di “gradimento”: minaccia e simbolo. In conformità a questi si comportano i media, i governi, i sostenitori… Senza dimenticare la matrice economica (ogni singolo missile Tomahawk della Raytheon ha il modico prezzo di un milione di dollari) o la brama di risorse energetiche. Siria: regime dittatoriale, strage di civili, armi chimiche, risorse naturali non liberalizzate. Pochi, ma bastevoli, i punti perché i potentati islamici ed esteri possano approntare un intervento, o invasione, che dir si voglia. E allora ha ragione Papa Francesco quando tuona un “NO” verso il traffico di armi e invita alla diplomazia gli oltre centomila fedeli che hanno aderito alla veglia e al digiuno di preghiera. Un’iniziativa che ha radunato in piazza San Pietro cristiani, ebrei, sunniti, sciiti, alawiti e drusi.

Rappresentiamo l’occidente, l’Europa, il progresso e, tutt’oggi, nel XXI secolo, l’odio fratricida continua ad avere la meglio. Le appartenenze etniche rischiano di contare più della convivenza. Sofferenza e devastazione non dovrebbero essere dimenticate. Mai… Per non trovarci, oggi o domani, da un giorno all’altro, a dover fare i conti con un nuovo conflitto mondiale.
 

Marco Fallanca

Costituzione della Repubblica Italiana, Art. 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

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