SPECIES: Il bestiario di Gabriella Vergari

Posted by on Jun 14th, 2013 and filed under Cultura, News. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. Both comments and pings are currently closed.

Quindici monologhi di altrettanti animali presentano una singolare rivisitazione allegorica del terzo millennio

Il bestiario è il titolo generico destinato alle opere didattiche medievali, in cui la descrizione delle ‘nature’ e ‘proprietà’ degli animali è utilizzata per ritrovare insegnamenti di ordine religioso e morale, propri di una concezione, tipicamente medievale, della natura come ‘simbolo’ di verità più profonde, insegnate da Dio attraverso gli esseri che ha creato.

Basandosi sull’idea di attualizzare quest’espediente narrativo la scrittice catanese Gabriella Vergari, Dottore di Ricerca in Filologia Greco-Latina e rinomata insegnante presso un Liceo classico cittadino, ha tratto spunto per la realizzazione di “Species, bestiario del terzo millennio” (Boemi, 2012), particolarmente apprezzato dalla critica e dai lettori. L’autrice ha, inoltre, firmato svariati contributi scientifici, culturali, letterari e turistici, anche apparsi su riviste internazionali, ed è anche co-autrice della letteratura latina “Imago maiorum”. Tra le principali opere della produzione della Vergari figurano “Inganni Cortesi” (Il Girasole Edizioni, 1990), “Sirene, chimere ed altri animali” (Chieti, 1993), “Segnali e Sguardi” (in via Lattea 14, 1994), “Ereia” (Domenico Sanfilippo Editore,1994), “L’isola degli elefanti nani” (AG, 2003), ed è autrice, insieme ad altri scrittori siciliani ( quali A. Camilleri, G. Bonaviri, A. Scandurra, C. Consoli, ecc…) di “Scupa!” (2003). Scrittrice di racconti, testi e narrativa, ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, trai quali vengono annoverati il primo premio alla 3° edizione del concorso letterario “ G. Guareschi, il mondo piccolo” e il I° premio “Una fiaba per l’ Europa” bandito dalla C.I.E. di Caltagirone.

In “Species” vengono presentati quindici monologhi che hanno come protagonisti altrettanti animali, alcuni banali, altri anomali, altri mitologici, che propongono una nuova chiave di lettura delle caratteristiche proprie della società del nostro tempo, soffermandosi sugli aspetti del potere, delle diversità e delle minoranze. Questa rivisitazione della realtà odierna contrappone simultaneamente una visione ironica e malinconica che rende adatta la lettura a un pubblico di qualsiasi età: ciò che rende, infatti, unica e inimitabile l’opera è il significato di ogni singolo episodio che, come un caleidoscopio sul nostro tempo, lascia una libera interpretazione al lettore.

L’opera è incentrata su queste short stories, genere non particolarmente amato dal panorama nazionale, ma magistralmente affrontato dalla Vergari. Abbiamo avuto il piacere di incontrare l’autrice che ha cordialmente accettato il nostro invito e che, per mezzo di una piacevole chiacchierata, ci ha reso possibile una migliore interpretazione dell’opera e ci ha sciolto qualche piccola curiosità. “Il libro è nato progressivamente in due-tre momenti della mia vita” -ci dice la Vergari- “ma l’idea di strutturare l’opera come un bestiario medievale nasce solo dopo un viaggio a Lisbona e dopo una visita all’imponente Oceanario cittadino, ove oltre 15.000 diverse specie animali vivono, convivendo come in un “grande condominio”… Tra squali e altri pesci…”.

Nasce, così, a seguito di un’attenta riflessione, l’idea di “Saudade”, il primo dei quindici monologhi, che ha come ambientazione proprio la grande attrazione della città lusitana e che presenta il soliloquio di un pesce, da sempre vissuto nella banalità dell’acquario, e che non riesce a comprendere cosa sia quella “saudade”, appunto, di cui gli viene narrato da un pesce più “esperto”. Una novella, insomma, all’insegna dell’adattamento… E viene, così, tracciata una realtà parallela a quella concreta che rappresenta il mondo, quello della fede, del dubbio e dell’amicizia, in cui viene condannato il falso mito dell’uomo, contro il quale, asserisce la Vergari, c’è ancora bisogno di voci. L’uomo di oggi, di fatto, è ancora esposto agli eventi, fa parte del “tutto” ma non rappresenta il Tutto.

 La riflessione sul potere, che ne deriva come conseguenza logica, viene affrontata per mezzo della similitudine con la catena alimentare, ove in un ecosistema anche i componenti che si trovano alla base della piramide svolgono un ruolo necessario per la sopravvivenza dello stesso biosistema. La materia trattata si tramuta, quindi, in fretta in un invito alla fratellanza e al rispetto per ciò che ci circonda, il tutto interpretato in una chiave ironica ricca di prospettiva.

 L’opera, intrinseca di filosofia orientale, demolisce i falsi miti del qualunquismo e del modernismo tramite un accurato uso della parola e della scrittura creativa, riuscendo a dar voce a quelle creature che per natura e definizione, appunto, non l’abbiano. La consolidata passione per la scrittura e per la cura della parola ha permesso alla scrittrice di cimentarsi, ancora una volta, in un testo con una forte valenza teatrale e di genere, instaurando, così, con il lettore una sorta di gioco finalizzato all’identificazione dell’animale protagonista, non sempre individuabile alle prime righe… anzi, tutt’altro. L’animale, vero o verosimile che sia, diventa vero e proprio testimonial di un sostantivo astratto piuttosto che di un animale stesso. Ed è proprio questo “interprete parlante” che permette all’autrice di usare il pronome personale alla 2ª persona singolare (tu), instaurando un vero e proprio rapporto di condivisione tra ideatrice-animale-destinatario.

 L’impostazione grafica prevede che ogni sequenza sia accompagnata dalle pregevoli sanguigne originali realizzate da Antonino Viola che, come nei bestiari medievali, arricchiscono ogni singolo episodio narrato. Ulteriore peculiarità dell’impaginazione è il non convenzionale formato A4 con cui viene edita l’opera o, inoltre, l’ancor più raro utilizzo del capolettera o del chiudi sequenza. Quest’insolita produzione, che affonda le proprie radici nei sogni e nei dormiveglia dell’autrice, delinea il punto di vista come perfetto equilibrio tra l’io e il personaggio.

 L’autrice dedica questo “diario dell’altro”, come è stato definito, in maniera particolare ai propri genitori e, dietro la scelta di alcuni personaggi, c’è una specifica volontà comunicativa: l’episodio del “giusto” leone, ad esempio, è quello dedicato al padre, dove il re della savana, simbolo del potere e della forza, è alle prese con la consapevelozza del peso degli anni ed è da questi “arrugginito”, confrontandosi con la presunzione dei giovani, assetati di supremazia. L’episodio della bufaga attesta una riflessione sul senso della vita, sulla prospettiva dell’umiltà di servizio e sull’accettazione del ruolo al fine di garantire un equilibrio personale.

 Per poi passare al camaleonte, simbolo dell’adeguamento al conformismo, che, con il mimetismo, annulla la propria personalità facendo “scomparire”, per l’appunto, l’originalità e la tendenza… ma è, d’altro canto, così come il tarlo, il simbolo del cambiamento e fautore del rinnovamento. Ed ecco l’aquila di Zeus, instrumentum regni, sfruttata dal dio per l’eterna punizione di Prometeo alla rupe, che svolge il lavoro sporco e simboleggia tutti coloro di cui il potere stesso si “nutre”. Differentemente, l’araba fenice configura l’attaccamento alla vita ma, al contempo, alla nascita e al declino. Quest’ultima, però, non da risposta: può sembrare banale, la vita è… quotidianità, nel vissuto… Infine, l’ultimo episodio sul quale ci soffermiamo, quello dei parrocchetti, espone la realtà di uno dei principali bersagli odierni: la famiglia, messa al vaglio dalla routine e dalle distanze egoistiche.

Cos’altro aggiungere su questo piccolo grande capolavoro del genere? Nulla! Ne ho già tracciato i contorni essenziali… Insomma, una lettura consigliata a un pubblico di qualsiasi età, che possa trarre, dalle piccole massime accennate, spunti per grandi riflessioni e insegnamenti…

 

Marco Fallanca

 

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