99 Anni di “Madama Butterfly”

Posted by on Mar 25th, 2013 and filed under Spettacolo. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. Both comments and pings are currently closed.

Il capolavoro di Puccini, per la ventisettesima volta al Bellini, si conferma un gran trionfo

La tragedia giapponese, ormai prossima al centenario della prima rappresentazione, dimostra, ancora una volta, di riscuotere un indiscusso successo firmato dal genio compositivo di Giacomo Puccini.

Per la ventisettesima volta la Butterfly approda al Bellini: per la prima volta a Catania nel maggio 1907, e più recentemente nel Maggio 2008. Il cast consta di artisti di eccellente qualità come Donata D’Annunzio Lombardi nel ruolo di Butterfly, Rubens Pelizzari nel ruolo di un Pinkerton d’eccezione, Carmelo Corrado Caruso come Sharpless, Antonella Colaianni come Suzuki e Stefano Osbat nelle vesti di Goro. Dirige l’esperto Maestro Fabrizio Maria Carminati, scenografia a cura di Roberto Laganà Manoli e con Tiziana Carlini come maestro del coro. L’allestimento è in coproduzione con il Teatro di Maribor, in Slovenia.

Caro nostro e grande Maestro, la farfallina volerà: ha l’ali sparse di polvere, con qualche goccia qua e là,gocce di sangue, gocce di pianto… Vola, vola farfallina, a cui piangeva tanto il cuore; e hai fatto piangere il tuo cantore… Canta, canta farfallina, con la tua voce piccolina, col tuo stridire di sogno, soave come l’ombra, all’ombra dei bambù a Nagasaki ed a Cefù”. Questi i versi di incoraggiamento dedicati da Giovanni Pascoli a Puccini, caduto nello sconforto per l’iniziale insuccesso dell’opera. Giacomo Puccini per la sua Madama Butterfly trae spunto dall’omonima rappresentazione di David Belasco, alla quale assistette a Londra nel 1900.

Il lavoro richiese una durata di circa tre anni, e, solamente alle ore 11 e 10 di sera del 27 dicembre 1903, la Madama Butterfly poté definirsi ultimata. Puccini, nonostante non fosse ben visto a Milano, volle che la “prima” andasse in scena proprio alla Scala.

Il debutto avvenne il 17 Febbraio 1904 e, nonostante le aspettative, si rivelò una clamorosa débâcle. L’opera venne dedicata a Sua Maestà la Regina Elena di Savoia, consorte di Vittorio Emanuele III. Molto probabilmente l’insuccesso fu da attribuire all’originaria suddivisione in due atti, anziché tre, che rendeva le scansioni eccessivamente prolisse. Al termine della rappresentazione in sala si verificò un silenzio tombale, nessun applauso: Puccini non uscì né durante l’intervallo né al termine. A cento giorni dall’insuccesso, venne riproposta, con opportune modifiche, al Teatro Grande di Brescia e si rivelò un grandissimo trionfo. La Madama Butterfly non si limita ad essere un’avvincente storia, seppur con un tragico epilogo, ma dimostra una straordinaria e singolare attualità nel soggetto. Ma prima di poter esprimere giudizi e considerazioni, è necessario presentare per sommi capi la materia trattata. L’opera narra la storia di Cio-Cio-San, meglio nota come Madama Butterfly: una geisha ormai prossima alle nozze con il tenente della marina militare statunitense Benjamin Franklin Pinkerton. Dopo una particolare e vivace ouverture, il tenente si trova in compagnia di Goro, sensale di matrimoni, e il console americano Sharpless: in attesa del corteo nuziale e della sposa, il tenente americano manifesta l’intenzione di essere in cerca di una vita spensierata e dedita al piacere.

Il proposito di prendere in moglie la giovane geisha è dettato da un momentaneo invaghimento, tanto che le nozze si svolgeranno secondo il rito giapponese, non riconosciuto in America, e l’ambizione di Pinkerton è quella di riuscire, un giorno, a trovare una sposa “vera” e ovviamente americana. Ma la ragazza tiene realmente al sentimento, tanto da essere disposta a convertirsi al cristianesimo e rinnegare la religione degli avi. La giovine, di soli quindici anni e nell’ “età dei giochi”, appartiene a una facoltosa famiglia di Nagasaki, ma, a seguito della morte del padre, era stata costretta a fare la geisha al fine di provvedere al proprio sostentamento e a quello dei congiunti.

Lo stato di povertà in cui versa la famiglia di Cio-Cio-San è tale che gli unici “beni” che porta in dote sono una pipa, una cintura, uno specchio, un ventaglio, un vaso di tintura per il trucco e un astuccio contenente il pugnale con il quale il padre si era suicidato. La celebrazione delle nozze, alla presenza dei parenti, viene interrotta dall’irruzione dello zio Bonzo che, venuto a sapere della conversione della ragazza, la rinnega, scatenando così l’ira dell’intero parentado.

Segue, quindi, uno sfogo della ragazza in preda al dispiacere per l’abbandono da parte della famiglia, ma presto consolato dalle dolci, e ipocrite, parole dell’amato. Il secondo atto riprende, con un flash forward di ben tre anni: Pinkerton, infatti, è ritornato in patria e ha promesso a Cio-Cio-San di far ritorno in primavera (“la stagione in cui il pettirosso fa il nido”). La ragazza è realmente convinta che il marito la ami ancora, e che, prima o poi, farà ritorno a Nagasaki. Ed ecco rompersi nuovamente la situazione di equilibrio: Sharpless annuncia l’imminente ritorno di Pinkerton, ma non ha il coraggio di rivelare alla Butterfly che questo si è risposato.

La ragazza, infatti, abborrisce l’idea di un mancato ritorno dello sposo, in quanto è convinta di essere ancora una sposa “americana”, e rifiuta i numerosi pretendenti, tra cui il ricco Yamadori. Ma all’idea di spezzare il vincolo matrimoniale, Cio-Cio-San si rende conto che le si presentano due sole prospettive: o tornare a fare la geisha o il suicidio. Allontanatosi il console, la Butterfly capisce che l’unico mezzo per rimanere ancora attaccata al marito è il bambino avuto da questi. Infatti, se il tenente avrà dimenticato lei, non potrà aver dimenticato il figlio. Il dialogo con la cameriera Suzuki viene interrotto proprio dal colpo di cannone che annuncio l’arrivo della “Abraham Lincoln”, nave di Pinkerton. Poco dopo essersi addormentata insieme al bimbo per lo sfinimento, giungono Pinkerton, la moglie Kate e il console. Il tenente della marina, venuto a sapere del figlio, è propenso a prenderlo in custodia, ma, apprendendo la trepidante attesa di Cio-Cio-San, va via nello sconforto.

Quando si desta, Butterfly trova il console e l’americana Kate e, intuendo la situazione, li congeda con il proposito di consegnare il bambino solo al padre di questo. Cio-Cio-San congeda anche la cameriera Suzuki e le affida il bambino. E’ pronta a compiere il gesto estremo, quando la cameriera spinge nella stanza il piccolo. Ma Butterfly  è ormai  decisa al suicidio: fa sedere il bambino, lo benda, gli mette in mano una bandierina americana, e si toglie la vita. Inutile poco dopo l’irruzione di Pinkerton nella stanza.
Sicuramente ciò che rende straordinaria l’opera è il contesto storico in cui si svolgono i fatti, profondamente segnato dal confitto russo-giapponese, ed ecco che un soggetto che trattasse questa materia si candidava di sicuro a riscontrare un ampio apprezzamento. Ma ciò che soprattutto caratterizza unicamente la Butterfly è la grande qualità dei dialoghi.

Nel primo atto, Cio-Cio-San sostiene che “nessuno si confessa mai nato in povertà. Non c’è vagabondo che a sentirlo non sia di gran prosapia”, e ancora “ma il turbine rovescia le querce più robuste”. Puccini concilia un luogo comune e la situazione critica di una giovane donna costretta a fare la geisha. In seguito, la Butterfly sottolinea come la legge americana, a differenza di quella giapponese, condanni con la prigione il marito che chieda in tribunale il divorzio per il semplice motivo di essere stanco della moglie. In Giappone, infatti, l’abbandono da parte del marito corrispondeva a un automatico divorzio e consentiva alla moglie di andare alla ricerca di un nuovo consorte (ecco la ragione dei numerosi pretendenti). Uno dei momenti particolarmente sentiti e toccanti della rappresentazione è indubbiamente il coro a bocca chiusa, che conclude il secondo atto.

Ma il capolavoro pucciniano è, in ogni minima sfumatura, una vera e propria enciclopedia: viene infatti prospettata l’usanza del suicidio secondo il tradizionale jigai e per mezzo del coltello tantō, nonché l’uso americano di imbalsamare le farfalle pungendole con uno spillo.
Infine, caratteristica unica dell’opera è la continuità dei brani, che non presentano interruzioni o pause, se non prima della conclusione dell’atto (opera differente dai soggetti Verdiani, celebri per le arie e per i singoli brani). Insomma, una vera e propria ipnosi che coinvolge lo spettatore e non consente a questo la minima distrazione. Di straordinario peso artistico le parole incise sulla lama con cui Cio-Cio-San si toglie la vita:
«Con onor muore chi non può serbar vita con onore.»

Marco Fallanca

Foto Giacomo Orlando

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