Perché il Premio Nobel alla Letteratura a Bob Dylan?

Posted by on Dec 15th, 2016 and filed under Recensioni. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. Both comments and pings are currently closed.

Quando avviene qualcosa di straordinario, singolare e per certi aspetti da decifrare, come è stata la decisione dell’Accademia Svedese di assegnare il Premio Nobel alla letteratura ad uno dei massimi cantautori di tutti i tempi, Bob Dylan, è più che giustificabile che se ne discuta, almeno per cercare di capirne il perché e la motivazione. Quindi un plauso ad Anna Manna che lo scorso 6 dicembre ha voluto e organizzato presso il Sindacato Libero Scrittori Italiani di Roma, un convegno in proposito, al quale io stesso ho avuto il piacere di essere invitato a partecipare.

Bob Dylan, è un cantautore di tutto rispetto che per 40 anni e oltre  ha regalato al mondo testi che parlano d’amore e di pace, in un mondo sempre più difficile e controverso. La motivazione data  dagli Accademici Svedesi è:

 

«per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana».

 

Si parla di poesia e canzoni, dunque, ed è su questo che bisogna riflettere. Bob Dylan ha fatto sapere, quasi con un tono di distacco:

 “Sono onorato ma ho altri impegni”.

 Magari ha preferito andare a cantare le sue ballate in qualche piccola balera di periferia degli Stati Uniti, attorniato dal suo pubblico, dalla sua gente, disertando di fatto i sontuosi palazzi svedesi.

 Io stesso, più volte, ho detto e anche scritto, che alcuni cantautori sono poeti, cito alcuni nomi: il belga Jacques Brel e il francese Georges Brassens;  e cito anche alcuni cantautori italiani come Sergio Endrigo, Fabrizio De André, Bruno Lauzi, Luigi Tenco ed altri. L’ho detto, ripeto, ma giustamente per differenziare questi autori  dal mondo delle semplici “canzonette”, assolutamente non per denigrare le “canzonette” che anch’esse hanno avuto e hanno una loro importanza storico-sociale. Io che ho vissuto da adolescente i favolosi anni ’60 so bene come mi siano rimaste nel cuore molte di quelle “canzonette” perché raccontavano uno spaccato sociale di quegli anni, accompagnando una società che si stava riscoprendo e ricomponendo dopo uno sfortunato periodo storico. Accompagnavano la nostra vita, stimolavano i nostri giovanili amori. Accanto a queste “canzonette”, in quegli venivano fuori anche i cantautori, che davano un contributo più alto a quel contesto sociale e talvolta anche in maniera più o meno poetica. E sono cose belle.

 Ma definire questa poesia al pari della letteratura è parecchio ardito, perché non abbiamo fatto altro che definire una distinzione della canzone italiana, tra “canzonette” e “canzoni d’autore” che io tanto amo. Basta fare un elenco di veri letterati italiani, senz’andare troppo indietro nel tempo, a prescindere dal premio Nobel, come Foscolo, Leopardi, Manzoni, Pascoli, e già da questo confronto, solo “ad orecchio”, si comprende che stiamo parlando di “altro”, stiamo parlando di vera letteratura. E approfitto di queste citazioni, rispondendo in qualche modo alla prima parte del titolo di questo convegno – preso in prestito proprio da un testo di Dylan –  “Quante poesie bisogna scrivere per diventare poeta?”, facendo riferimento proprio a due letterati come Foscolo e Leopardi, che non hanno scritto tanto: a prescindere da poche altre cose, il primo, Foscolo, ci ha dato dodici sonetti e due odi, “Le lettere di Jacopo Ortis” e quel magnifico carme “Dei Sepolcri”; il secondo, Leopardi, sempre a prescindere da poche altre cose, ha scritto quarantuno “Canti”, le Operette morali e lo Zibaldone di pensieri, cose alte e sublimi dal punto di vista letterario.

Allora, ammesso che si dovesse dare per acquisito il concetto che la letteratura è altrove, perché questa assegnazione del Nobel alla letteratura a Bob Dylan, che non trova, a mio avviso, una valida giustificazione nemmeno in ciò che scrisse Alfred Nobel nel suo celebre testamento proprio in merito al Premio per la Letteratura che dovrebbe andare

 

“alla persona che abbia prodotto, nel campo della letteratura, l’opera più notevole con uno slancio ideale”.

 

Quindi “opera più notevole e uno slancio ideale”. L’opera più notevole, non mi pare proprio di vederla in questo caso, è sullo “slancio ideale” ogni opera letteraria ne è sempre pregna. Parliamo di premi a personaggi notevoli che hanno fatto grandi cose nell’ambito, non solo della letteratura, ma della medicina, della scienza, della tecnica, della chimica, della fisica, della pace, di persone, cioè che hanno fatto del bene all’umanità,  e per questo lo “slancio ideale” è già dentro ogni notevole opera.

 È una questione complessa da discutere, anche se si prende in considerazione il discorso che fece Montale proprio in occasione del ricevimento del Premio nel 1975, già emblematico nel titolo: “È ancora possibile la poesia?”. Aveva ragione?

 Certamente in questa frase io ci vedo un po’ di polemica e ironia, comunque, sempre a mio avviso la Poesia è stata e ancora lo è, viva e vitale. È solo relegata in ruolo che non interessa più alla gente del mondo che non vuole ascoltare i poeti, danno forse troppe cose da pensare in un mondo materiale e frettoloso come questo, dove la scelta economica prevale su tutto, anche sull’arte e sulla cultura. La vera letteratura si trova nelle piccole e medie case editrici, le grandi case editrici pubblicano ciò che rende economicamente e non ciò che vale ma non venderebbe.

 Tornando al quesito “perché a Bob Dylan”, qualcuno potrebbe dire perché non ci sono più alternative valide per la letteratura. Se questo è il messaggio che verrebbe da Stoccolma, no, non è così, e anche se il Premio doveva andare ad uno statunitense, perché allora non a veri letterati come Philip Roth o, al di fuori degli Stati Uniti, al ceco Milan Kundera? Se pensiamo ai tanti Nobel mancati di letterati non più viventi, avremmo un elenco notevolissimo: il russo Tolstoj, l’argentino Borges, l’irlandese James Joyce, il norvegese Henrik Ibsen… l’elenco sarebbe ancora più lungo; e voglio fare solo tre nomi di casa nostra: Ungaretti per la poesia, Buzzati per la narrativa ed Eduardo De Filippo per il teatro. E fu stupore anche nel 1997 quando all’ultimo momento fu scelto di conferire il Nobel a Dario Fo (che c’entra con la letteratura?) e non al già consacrato Mario Luzi.

 Perché trasformare il Nobel alla letteratura in qualcos’altro, che seppur meritevole, letteratura non è?

Istituiscano un premio più che dignitoso alla canzone d’autore, perché no?  Giacché appare impensabile che in tutto il mondo non via sia alcun letterato almeno un poco meritevole del Premio; sennò, davvero dove va la Letteratura che certamente sta vivendo da anni momenti di crisi? Non è questo il modo di aiutarla, sembrano quasi provocazioni, perché questo rischia di trasformare il premio stesso in qualcos’altro, il rischio è altissimo, potrebbe portare ad una perdita di credibilità del valore stesso della Poesia.

 Antonio Ragone

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