Damaggio, eroe senza tempo

Posted by on Jun 10th, 2016 and filed under Centenario 1915-1918, News. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. Both comments and pings are currently closed.

Ten. Salvatore Damaggio

Vera Ambra
Piume baciatemi la guancia ardente
Romanzo liberamente ispirato alla vita del tenente salvatore Damaggio

Il popolo d’Europa ha pagato il conto con nove milioni di cadaveri: così nel 1934, Emilio Ludwig (finissimo scrittore e giornalista grande come pochi) stigmatizzava, nel suo libro Luglio 1914, la tragedia della prima guerra mondiale, sorta per una follia collettiva dei vertici delle Nazioni europee che nel “grande gioco” (per usare l’espressione di Kipling) delle alleanze, si ritrovarono immersi nella pugna immane. Ma se il Presidente del Consiglio che nel maggio 1915 guidava l’Italia, Antonio Salandra, poté dichiarare che «la nostra guerra è santa», ciò era in gran parte avvertito dalla popolazione italiana, che sentiva – alcuni immanentemente, altri con maggiore veemenza – il desiderio di completare il processo di Unità nazionale, iniziato con le guerre risorgimentali e mai definiti-vamente compiuto.
L’Italia unita è una nazione giovane, nel 1915: le conquiste africane sono costate lacrime e sangue (si pensi al massacro di Adua del 1896, che sarà vendicato poi con la guerra d’Abissinia e l’Impero, seppure dominio effimero) ma non hanno pienamente soddisfatto il sentimento irredentista nazionale, poiché Francia, Gran Bretagna e Germania ci considerarono sempre popolo sotto tutela, o meglio da controllare (analogie con il XXI secolo? Ognun deduca) specie per quel che concerne le legittime aspirazioni verso le coste dirimpettaie di Tripolitania e Cirenaica; era inevitabile il completamento del cammino di sangue su Trento e su Trieste, la cui italianità era gelosamente schiacciata dal gigante Impero Austro-Ungarico, spalleggiato dalla imperiosità tedesca.
La vicenda di Salvatore Damaggio, partito come migliaia di altri italiani dalla lontanissima Sicilia, cittadina di Terranova (poi Gela), per la fronte trentina, si innesta in questo quadro “fascinoso e trascinatore”, se utilizziamo la terminologia del giornalista Benito Mussolini – anch’egli bersagliere, come Damaggio e Carlo Delcroix. I siciliani nella grande guerra diedero il maggiore contributo di sangue, con oltre 50 mila caduti e migliaia di reduci. E meritatamente la Sicilia, serbando il Regno attenzione per ogni popolazione italiana, fu l’unica regione cui l’ultimo Sovrano Umberto II, nel mese di governo, concesse lo Statuto speciale di Autonomia (15 maggio 1946), riconoscendone così la particolarità storica.
La difesa del Pasubio, per cui Damaggio divenne “l’eroe” di quella cima di oltre duemila metri, ove è ancora ricordato a un secolo di distanza, è qui stata liberamente romanzata dalla pen-na appassionata – più del solito, a nostro avviso, in senso del tutto positivo – di Vera Ambra, scrittrice, poetessa e organizzatrice culturale catanese che ha fatto della riscoperta del passato, nel contesto delle rievocazioni storiche del primo conflitto mondiale, un punto d’onore e di orgoglio, gettandosi a capofitto – come sarebbe successo se fossimo vissuti nel secolo scorso o in età risorgimentale – nella variegata mischia degli eventi, con suo cuore generoso oltre l’ostacolo, senza badare a interessi materiali, rincorrendo il purissimo Ideale della Memoria. In giorni di oblio indegno, è altamente meritevole.
È un libro scevro di retorica, essenziale nei fatti, autentico perché realista. Non ha – perché non appartiene all’autrice – la sovrastruttura della storiografia: in questo caso può essere un bene. La riflessione che si deduce dalla lettura agile, snella, concreta della storia umana, militare e professionale del sicilia-no Damaggio, assembla (coriandoli di un mondo sublime?) tutti coloro i quali, accorsi dalle diverse regioni, contribuirono decisamente e definitivamente a cementare quella Unità italiana che era forse stata compiuta parzialmente attraverso l’educazione scolastica del tutto laica (i due libri dell’evo umbertino, Cuore e Pinocchio, veri manuali del buon italiano tra il XIX e XX secolo, non a caso studiatissimi, non citano mai preti cattolici, e costituiscono l’esempio di come deve crescere il giovane del nuovo Stato), ma abbisognava del lavacro di sangue per dirsi compiuta e sancita.
I martiri fanno la Storia:  Cesare Battisti, Nazario Sauro, Enrico Toti, e – sempre per dare l’alea dell’afflato meridionale – Antonino Cascino, l’eroe del Monte Santo: quattro tra i moltissimi nomi. Damaggio “quinto tra cotanto senno” (seppur egli sopravvisse alla pugna) di coloro che l’olocausto supremo donarono alla Patria, la quale finalmente poteva dirsi consacrata entro i tre colori della sacra bandiera: bandiera che al centro vedeva sfavillare la croce di Savoia. “Bianca croce di Savoia, Dio ti salvi e salvi il Re”, vergava Giosuè Carducci.
Il Re Soldato: si deve alla sua magnanima grandezza se l’Italia, particolarmente dopo la ritirata strategica di Caporetto, salvò l’onore e seppe rigettare oltre il Piave il feroce nemico, fino ad annientarlo definitivamente nell’autunno del 1918. Alla decisa scelta di Vittorio Emanuele III, alla sapiente guida del napoletano Maresciallo Armando Diaz, capo di Stato Maggiore (personalmente scelto dal Sovrano dopo Cadorna), nonché (la psiche italica è affamata di simboli musicali) al napoletano E. A. Mario (Ermete Gaeta), che seppe galvanizzare i fanti e tutti i combattenti con un inno il quale provoca brividi di emozione ancor oggi, “La leggenda del Piave”, si deve la Vittoria; molti ex combattenti, rammemorando i fratelli caduti e macerati nelle trincee in quei tre anni e mezzo spaventosi ma unici, piangevano nel riudire quel canto, gli anni seguenti (così il nostro nonno, che era stato sul Carso).
La difesa ardua del Pasubio passava alla storia per quella decisione di consacrare “i termini sacri” della Patria, come annunziava il Re nel proclama del maggio 1915, alla grandezza nazionale lungamente desiata sin dal secolo precedente. La costruzione italiana, quali che siano stati i motivi o le occulte e misteriche “spinte” o le forzature a volte truculente, fu un bene per tutti, ma gli effetti – come accade per i grandi ideali – si avvertono molto dopo il succedersi degli eventi. Tra il 17 marzo 1861 – giorno in cui il Parlamento torinese proclamava la nascita ufficiale del Regno d’Italia e l’assunzione della Corona al “Padre della Patria” Re Vittorio Emanuele II – e il 4 novembre 1918 – quando il proclama della Vittoria dichiara finito il conflitto e Re Vittorio Emanuele III entra in Trieste liberata – un cammino che poteva sembrare incredibile prima si è percorso e un vero e proprio “miracolo laico” è compiuto: l’Unità nazionale nei cuori e nei fatti è raggiunta, sebbene cementata nei grumi di sangue e fango delle trincee, sebbene accettata dalla popolazione diversa e di lingua e di prospettiva: ut unum sint, l’auspicio è realizzato, il vessillo tricolore davvero accomuna tutti, dalle vette alpine a capo Passero.
Vero è che il regime succeduto agli eventi di allora seppe costruire e conservare, gettandone le basi e concretamente provvedendo alle necessità quotidiane dei milioni di reduci, dando, come uno Stato che si rispetti deve, il necessario posto di lavoro a ciascuno, ruolo ben meritato dalle sofferenze belliche: quel regime fu il Fascismo, a cui si deve fra l’altro la nascita dell’INPS, dell’Opera Maternità e Infanzia, delle Colonie per i bisognosi, l’assistenza sociale, tanto per citare a volo: ‘ché se poi la infausta seconda guerra mondiale fu l’errore fatale di esso di cui ancora paghiamo le conseguenze, ciò non deve fare mai dimenticare le conquiste sociali di quegli anni, alle cui positive provvidenze ancora oggi quasi tutti beneficiano o fanno riferimento. Gli ex combattenti quindi erano stati giustamente elevati nel posto a loro spettante, retribuiti e curati: a ciò contribuì l’opera indimenticabile del mutilato Carlo Delcroix, medaglia d’argento, che con la sua via missionaria profondamente italica e cristiana fu l’apostolo del dolore, il cieco di chi non ha voce, fondatore dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi e dell’unione Italiana Ciechi. Quei che non tornarono ebbero l’apoteosi simbolica il 4 novembre 1921, quando la salma del Soldato Ignoto, attraversando l’Italia, giungeva a Roma e, deposta nell’Altare della Patria, suggellava il sacrifizio di oltre seicentomila fratelli immolati. È stato scritto: Quale tra tutti gli eroi, cui siamo soliti stringere la mano e circondare della nostra stima, sarà mai eguale a quell’Uno che oggi passa vittorioso tra le fila dei suoi compagni, tra i fiori di tutte le madri italiane? Del Soldato sconosciuto sono tutti gli eroismi, di tutti i giorni, di tutte le ore, di tutti i luoghi… tutto questo è anche del nostro meraviglioso popolo, della nostra superba razza che ama la sua terra, che ha vissuto un dramma tormentoso sfidando il destino e che oggi si ritrova nel più umile e più grande dei suoi eroi, nella più modesta e nella più luminosa pagina della sua storia (B. Migliore).
Sul petto dei reduci, come Salvatore Damaggio, il Re volle appuntare la medaglia coniata nel bronzo nemico, simboleggiante l’Unità nazionale e la fraternità della guerra olocausta; e se il siciliano Damaggio fu poi nominato Cavaliere della Corona d’Italia, ciò si deve leggere nell’ottica dell’attaccamento alla Patria e alla Dinastia che egli, come la maggior parte degli italiani, concepì. Pertanto il romanzo ispirato a fatti realmente accaduti, ideato e qui stampato da Akkuaria, consegue il duplice risultato di onorare col protagonista, eroe senza tempo, la memoria dei combattenti, caduti e reduci, che eroicamente compirono il loro dovere per la Patria senza mai chiedere nulla in cambio che il raggiungimento di un Ideale, e reca fondamentale contributo alla coscienza nazionale del XXI secolo, in verità manchevole e carente e perciò bisognosa di codesti intensi apporti, nella consapevolezza che dalle tragedie guerresche del passato si possa trarre giovamento per opere di pacificazione e di fratellanza universale, che l’umanità riporti alle sacre Luci, laddove troppo spesso la cecità di alcuni ha rincorso, illusoriamente, le tenebre.

Francesco Giordano

Nota biografica di Salvatore Damaggio

Tenente dei mitraglieri, comandante la 4ª Sezione Mitragliatrici del IV Battaglione dell’86° Reggimento Fanteria Brigata Verona, nasce a Gela il 20 marzo 1892.
Terminati gli studi classici, nel 1912 è a Roma nel 2° Reggimento Bersaglieri per seguire il corso allievi ufficiali.
Il 10 ottobre 1913 lascia il corso per non aver superato l’esame e torna agli studi di medicina.
Nel gennaio del 1915, alla vigilia della guerra è richiamato come sottotenente di complemento ed è assegnato all’86° Reggimento Fanteria della Brigata Verona.
Dopo i combattimenti del Pasubio, il 1° ottobre 1916 è promosso tenente (gli viene però riconosciuta l’anzianità dal 7 maggio 1916) e destinato al deposito dell’85° Reggimento di Fanteria come istruttore delle reclute della classe 1897.
È rimandato al fronte nel febbraio 1917, tenente nel 248° Reggimento di Fanteria (Brigata Girgenti).
Nel settembre del 1917 rientra nei ranghi dell’85° Reggi-mento (Brigata Verona) e il 31 ottobre è promosso capitano. Agli inizi del 1918 è dichiarato inabile al servizio per “infermità dipendente da cause di servizio” e quindi definitivamente congedato il 14 dicembre 1919.
Laureatosi in medicina con una tesi sulla tubercolosi polmonare, si specializza in tisiologia diventando direttore del Sanatorio di Ascoli Piceno, dove svolgerà la sua attività di medico e ricercatore sino alla morte, avvenuta per malattia nel 1944.
Tenente di Fanteria, è stato insignito di onorificenze militari e civili, fra le quali due medaglie d’argento al Valor Militare e una medaglia d’oro della città di Schio.
Gela ha onorato l’Eroe intitolando al suo nome una via cittadina (Via Salvatore Damaggio Fischietti, già Strada Rosario). La relativa delibera fu adottata dal Consiglio comunale nella seduta del 23 Novembre 1946, dopo l’elogio dello Scomparso pronunciato dal consigliere Virgilio Argento.
Ebbe in vita:
2 Medaglie d’Argento al Valor Militare
2 Croci al Merito di Guerra
Medaglia d’oro Serba al Valor Militare
Medaglia d’oro della Città di Schio
Cittadinanza onoraria di Schio
Commendatore della Corona d’Italia
Dottore in Medicina e chirurgia
Specialista in Tisiologia
Direttore Sanatorio di Ascoli Piceno.

 

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